Dobbiamo interrogarci se veramente abbiamo lo spirito di preghiera: se diffidiamo di noi medesimi e confidiamo in Dio. Lo spirito di preghiera ci porta a fare non solo qualche orazione, a fare delle pratiche di pietà, ma ad uno stato, ad una disposizione interiore particolare che è costituita da questi due elementi: diffidenza di noi e confidenza in Dio. Diffidiamo di noi, in tutto, sentiamo il bisogno di ricorrere a Dio, in tutto? Diffidenza di noi. Noi sappiamo, anche per esperienza, che siamo scarsi per intelligenza, per scienza, per virtù, per abilità, nella santità? Non abbiamo già fatto tante volte l’esperienza della nostra debolezza? Vi è bisogno ancora di avere altre prove per convincerci che se non vigiliamo e se non preghiamo finiamo con il cadere in basso, finiamo con l’essere affogati nei difetti? Non facciamo più altre esperienze. Impariamo da quello che già ci è accaduto: da quello che è stata già in realtà la nostra vita. Lo stato di preghiera, lo spirito di preghiera richiede ancora una fiducia serena in Dio. Il Signore è mio Padre: Protector noster aspice, Deus! (cfr. Sal 83,10: O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo). È il Padre che ci ama, è il Padre che ci illumina, che ci sostiene, che ci attende in paradiso. Questo Padre celeste non ha altro programma sopra di noi che ci santifichiamo. [...]
In secondo luogo la vita di Gesù Cristo è una vita di lavoro, di lavoro secondo l’età. [...] Se Iddio ci ha dato delle facoltà: l’intelligenza, le forze del corpo, la volontà, il sentimento, egli si aspetta che mettiamo tutto in moto, cioè che ci impegniamo a conoscerlo, amarlo, servirlo, e con le forze del corpo: con tutto! Il peccato più comune è non mettere al servizio di Dio tutte le facoltà, specialmente la mente. Dobbiamo allora pensare che, se vogliamo seguire Gesù e quindi essere cristiani, dobbiamo amare il lavoro. [...] Non ha più merito chi adopera il badile di chi adopera la penna. È l’impegno che ciascuno mette nelle cose che fa per volontà di Dio, e perché sono determinate dai superiori. Ognuno occupi tutte le sue forze anche fisiche, perché il Signore non ci ha dato solamente l’anima, ma l’uomo è un composto di anima e di corpo. Perciò le facoltà spirituali e le facoltà fisiche dobbiamo tutte impegnarle per Lui, per poter dire che serviamo il Signore e che lo amiamo davvero. [In terzo luogo] Nostro Signor Gesù Cristo ha condotto una vita di adempimento alla volontà di Dio e lo ha attestato dichiarando: Quae placita sunt ei facio semper (cfr. Gv 8,29: Io faccio sempre le cose che gli sono gradite). E S. Paolo dice: “Non volle compiacere se stesso, ma volle compiacere il Padre celeste” (cfr. Rm 15,3). Guardare che non dobbiamo, non possiamo servire a noi medesimi. Sotto il pretesto di libertà, alle volte si cade in una vera schiavitù: si serve alle passioni, al capriccio, mentre si dovrebbe servire a Dio. Non guardare: “Questo mi piace”, no! Ma devo piacere a Dio. Quante volte forse noi preferiamo e scegliamo quel che ci piace. Ma questa è la regola dei sensuali: quel che mi piace. Invece la regola dei figliuoli di Dio è quella del Figlio di Dio, di Gesù Cristo. Il Padre celeste ha detto di lui: “Questi è il mio Figlio diletto, che mi piace, in cui mi sono compiaciuto” (cfr. Mt 3,17). La regola è questa, cioè: Piace a Dio? Questo lo vuole il Signore? Quel che è gradito a lui devo fare. La volontà di Dio domini sovrana in noi. Ecco tre punti su cui esaminarci se siamo cristiani: vita di preghiera, vita di lavoro, vita di vero servizio di Dio, conformata cioè al volere di Dio. [...]
2. Interroghiamoci: Sei tu vera religiosa? [...] Allora, il Signore come ha determinato, come ha descritto la vita religiosa? Magistralmente, come sempre! Le sue parole sono divino magistero: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, distribuisci il ricavato ai poveri, vieni e seguimi” (cfr. Mt 19,21). Se vuoi essere perfetto; non: se vuoi diventare un perfetto. Quando si è aspiranti, postulanti, novizie, professe temporanee, si lavora a diventare perfetti, perché si compie bene quello che il Signore vuole. Può essere tuttavia che allora si faccia un po’ “ad oculum servientes: così per contentare l’occhio” (cfr. Ef 6,6), per arrivare a quella meta della professione perpetua. Ma, in generale, si può pensare che si faccia con retta intenzione. Quando invece dopo la professione perpetua, con il crescere degli anni, diventiamo più imperfetti e sentiamo che non corrispondiamo alle grazie di Dio, allora un rimorso entra nell’anima nostra, o almeno dovrebbe entrare: “Io non salgo il monte della perfezione, io lo discendo”. Ora, arrivare alla professione perpetua è arrivare ai piedi del monte, ma non per fermarsi, bensì per salire. [...] Salvare non solo la vita religiosa, ma perfezionarla di giorno in giorno, così che tutte, possano guardare alla professa perpetua e anziana, come a modello: se faccio così, se faccio come quella, io vivo veramente la vita religiosa. Ora, diamo l’esempio in questo? Oppure crediamo poco per volta di poterci dispensare da una cosa e dall’altra e sostituire la nostra volontà alla volontà dei superiori? [...]
Poi bisogna togliere questa obiezione: ma io ho studiato e ne so di più. Non è così. Quanto a sapienza soprannaturale la vostra Prima Maestra sa più di tutte voi, anche di quelle che hanno studiato di più, sapessero anche i logaritmi. Io parlo della sapienza celeste e di quelle grazie di illuminazione che il Signore dà a chi guida, grazie di ufficio. [...] “Se vuoi essere perfetta, lascia tutto”. E noi, abbiamo lasciato tutto? Il cuore è ormai distaccato bene da tutto? La povertà viene osservata? Alle volte si vuole avere un’abbondanza di mezzi che non è ragionevole, che distrae solo, [ad esempio], molte cose da leggere. Distrazione! Concentrarvi [invece] in quello che è nostro, in quello che dobbiamo fare. La distrazione è togliere del tempo e togliere delle energie al dovere, il raccoglimento è veramente raccogliere tutte le energie e tutto il tempo e i mezzi che abbiamo e metterli al servizio di Dio. Raccoglimento quindi. Non troppi mezzi. Non bisogna essere di quelle che hanno molti conoscenti e nessun amico, nessun direttore e nessuna direzione. Le molte conoscenze ci giovano poco, ci giova invece avere una buona direzione quale avete nell’Istituto. [...] Non perdere il merito principale della vita religiosa: l’obbedienza! Le energie adoperatele nel servizio di Dio, nell’obbedienza. Iddio pagherà solo quello che è fatto secondo il suo volere. Poi: “Vieni, disse Gesù al giovane ricco”. “Vieni”, vuol dire: lascia la famiglia. Lascia la famiglia e non pensare ad una famiglia. Uscire dalla famiglia non solo con il corpo, bisogna uscirne anche con il cuore. [...] E: “Seguimi”. È la terza regola della vita religiosa che costituisce il terzo voto, l’obbedienza. Gesù voleva dire: segui i miei comandamenti, segui i miei consigli, segui i miei esempi. [...] Avete il modo di pensare, di parlare, di comportarvi secondo Gesù Cristo? De mundo non sunt! [Non sono del mondo], Gesù può dirlo interamente di noi? [Può dire] che non abbiamo più niente di quello che abbiamo lasciato, che abbiamo lasciato davvero il mondo, la nostra volontà, certi affetti, certe simpatie e antipatie? Che siamo di Gesù?
3. Siete paoline! Siamo veri paolini? [...] Siamo veramente nello spirito di S. Paolo? Com’è lo spirito di S. Paolo? È proprio questo: Paolo è colui che indica il Maestro divino, cioè ha preso il Vangelo che ha meditato profondamente e lo ha adattato e applicato poi al mondo, ai bisogni del suo tempo e delle varie nazioni, come colui che predica fa le applicazioni agli uditori come sono: altro se predica ai bambini, altro se predica ai genitori, alle suore, ai contadini, agli operai. Così anche noi dobbiamo applicare il Vangelo ai nostri giorni e dare il Vangelo al mondo attuale con i mezzi che il progresso ci presenta, mezzi capaci di trasmettere il pensiero, la dottrina di Gesù Cristo. Dobbiamo adoperare i mezzi più efficaci, più celeri per arrivare alle anime! Questo significa vivere il nostro tempo e far sentire l’attualità di Gesù Cristo al mondo. [...] Se il Signore ha fatto alla Congregazione il dono così prezioso di comprendere il Maestro Divino, almeno in un certo limite, in qualche piccolo modo, e di avere questo incarico, l’ufficio di darlo così alle anime, non sprechiamo questa grazia, una delle più preziose che abbia la Famiglia Paolina.
In generale l’apostolato si deve ispirare così, a questo come a principio generale, l’applicazione poi verrà in seguito. [...] Inoltre dobbiamo compiere questo apostolato portando Gesù Cristo al mondo, ma non prendere il mondo per portarlo in casa. No! Bisogna che noi prima ci riforniamo bene di spirito. Chi è più profondamente spirituale, è più efficacemente apostolo. Quindi riempirsi dello spirito di Dio, per darlo al mondo nella maniera che ci è possibile. Vedere poi di correggere le idee del mondo, non di correggere le nostre idee buone; di correggere i costumi del mondo, non di uniformarci al mondo; di correggere quel modo di pregare, quel modo di considerare la religione come una cosa esterna o un sentimento. Considerare la religione per quello che è, specialmente comprendere che il cristiano è colui che non solamente dice qualche preghiera o è iscritto a qualche associazione, ma è colui che si confessa e si comunica bene, che porta Gesù Cristo con sé: Portate Deum in corpore vestro (1Cor 6,20: Glorificate Dio nel vostro corpo!). E allora la religione non è un’esteriorità o un abito che uno si mette due ore alla domenica per andare a Messa: la religione è vita cristiana. [...]
Beato Giacomo Alberione