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IL VANGELO SECONDO MARCO
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La trasfigurazione di Gesù (Mc 9,2-13) L’episodio della trasfigurazione di Gesù, comune ai tre vangeli sinottici (cfr. Mt 17,1-8; Mc 9,2-13; Lc 9,28-36), è divenuto ormai familiare, perché viene letto abitualmente nella seconda domenica di Quaresima di ogni anno nelle nostre chiese. Nel contesto del tempo quaresimale il suo significato è quello di indicare la vera finalità della pratica del digiuno e delle opere di carità di questo particolare tempo di penitenza (cioè la trasformazione/trasfigurazione di tutta l’esistenza del battezzato). Ma nel suo contesto evangelico originario questo episodio colloca al centro della storia della salvezza la persona di Gesù (“Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!”) e anticipa il mistero di gloria della sua morte e risurrezione (“[Gesù] ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”). |
(“sei giorni dopo”). Si tratta probabilmente dell’arco di tempo che segue la professione di fede di Pietro (riportata sopra in 8,29: “Tu sei il Cristo”) e il primo annuncio della passione fatto da Gesù ai discepoli, annuncio che tanto li aveva turbati e disorientati (cfr. Mc 8,31-33). Da una parte perciò la trasfigurazione mette in piena luce l’identità di Gesù, che Pietro ha già riconosciuto con la sua professione di fede: Gesù è il Figlio amato del Padre (cfr. Mc 9,7). Dall’altra illumina il mistero della sua morte appena annunciata ai discepoli (cfr. Mc 8,31) con lo splendore della sua risurrezione, simboleggiato nelle “vesti splendenti, bianchissime”, che ora ricoprono il corpo trasfigurato di Gesù. Senza questo “anticipo” dello splendore di Pasqua (che sarà simboleggiato nelle “vesti bianche” del giovane seduto accanto al sepolcro: cfr. Mc 16,5) la croce sarebbe stata per i discepoli velata dal buio dell’incomprensione e dell’incredulità. Protagonista di questo evento è innanzi tutto il Padre. È lui che guida la storia della salvezza e guida nello stesso tempo la missione di Gesù. Il verbo “fu trasfigurato” (“fu trasfigurato davanti a loro”) è da leggere come un passivo teologico, cioè un verbo che esprime l’azione di Dio: è Dio – il Padre – che trasfigura Gesù. Il passivo teologico (o divino) infatti è uno dei modi con cui la Bibbia sostituisce il nome di Dio, che non può essere pronunciato (“Non pronuncerai invano il nome del Signore [=Jhwh] tuo Dio”: Es 20,7). La guarigione di un ragazzo epilettico (Mc 9,14-29) La discesa dal monte della trasfigurazione colloca nuovamente Gesù nel contesto della vita quotidiana che, però, ora è illuminata dallo splendore “pasquale” (come appare dai verbi usati per la guarigione del ragazzo, che sono quelli della risurrezione: “Lo fece alzare ed egli stette in piedi”). Il resto dei discepoli che non era stato presente alla teofanìa sul monte è raggiunto da Gesù, mentre discutono con la folla. Infatti questi discepoli non erano riusciti a liberare da “uno spirito muto e sordo” un ragazzo che era stato condotto loro dal padre, nella speranza di una guarigione mediante l’esorcismo. Gesù è preso da uno scatto d’ira al vedere che i discepoli ancora non avevano interiorizzato il suo insegnamento e non avevano compreso le motivazioni profonde che rendevano possibile la sua vittoria sui demoni (“Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?”). A motivo di questa incomprensione essi non avevano saputo affrontare la dolorosa situazione del ragazzo che, secondo la descrizione del padre, probabilmente soffriva di epilessia. Infatti la motivazione che sottostà ai miracoli di Gesù è la sua piena adesione alla volontà del Padre e la sua intensa relazione filiale con lui, caratterizzata dalla preghiera. Il secondo annuncio della passione e la centralità dei “piccoli” (Mc 9,30-37) Il secondo annuncio della passione fa parte dell’insegnamento che Gesù dà ai discepoli per prepararli agli eventi della morte e della risurrezione. Il clima di segretezza in cui Gesù vuole che avvenga questo insegnamento (“non voleva che alcuno lo sapesse”) indica che egli desidera riservare ai soli discepoli un tempo speciale di formazione, che li aiuti a entrare nella volontà del Padre, che ha stabilito nel cammino verso la Croce la missione di Gesù. Anche lo stare seduti indica nella Bibbia l’atteggiamento del maestro che intende dedicare tempo e attenzione per un insegnamento importante da comunicare ai suoi discepoli (o qualcosa da correggere in loro): «Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo e il servitore di tutti”». I discepoli devono perciò imparare a correggersi dalla mentalità mondana che si sono formati, non comprendendo il vero significato del messianesimo di Gesù, che non è quello del successo e della ricerca della grandezza (“Per la strada avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”), ma è quello del Figlio dell’uomo, cioè del Servo sofferente che cammina verso la Croce e muore a se stesso. PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: 1. La trasfigurazione di Gesù da una parte illumina il mistero della croce e anticipa il mistero della pasqua, dall’altra rivela ai discepoli la loro chiamata a conformarsi al loro Maestro, attraverso quell’atteggiamento fondamentale che la Bibbia e il Vangelo identificano nell’ascolto (“Ascoltatelo!”). “Ascoltare” è il verbo che guida alla santificazione il discepolo di Gesù. Possiamo anche riflettere sul significato profondo di questo verbo, lasciandoci guidare dalle parole del nostro beato Fondatore: “Il processo di santificazione è un processo di cristificazione:“donec formetur Christus in vobis” [“finché si formi Cristo in voi”]” (dal Bollettino San Paolo, febbraio-marzo-aprile 1965). 2. Tutta l’opera di Gesù (predicazione, miracoli, segni, formazione dei discepoli) è motivata dalla sua obbedienza alla volontà del Padre e dalla relazione filiale che ha con lui nella preghiera. Alla nostra attività apostolica veniamo noi pure esortate a porre come fondamento una profonda adesione alla volontà di Dio e un’intensa relazione filiale con lui nella preghiera. Con il richiamo a porre questo duplice fondamento anche al nostro apostolato, Gesù sembra esortarci a realizzare nella nostra vita la preghiera del Salmo 127: “Se il Signore non costruisce la casa, invano si affaticano i costruttori. Se il Signore non vigila sulla città, invano vigila la sentinella” (vv. 1-2). 3. Anche per noi Gesù è il Maestro che ogni giorno ci parla “in privato”, cioè nel profondo della nostra intimità con lui (nell’Eucarestia, nella Liturgia delle Ore, nell’Adorazione). Lui solo ha la capacità di ravvivare con il fuoco della sua parola la nostra tiepida fede e di mettere sulle nostre labbra la supplica del padre del ragazzo guarito: “Credo: aiuta la mia incredulità”. Don Primo Gironi, ssp
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