REBECCA:
LA MADRE CHE VEDE LONTANO
Isacco ha quarant’anni, ma come un bamboccione, continua a vivere nella casa paterna. Abramo, preoccupato per il suo futuro, manda il proprio servo in Mesopotamia a cercargli una moglie tra il popolo da cui proviene (Gen 23,4). Il servo parte portando con sé dieci cammelli e regali preziosi per la futura sposa. Giunto sul posto invoca Dio di aiutarlo. Persino i cammelli, inginocchiandosi, partecipano alla sua preghiera. Gli domanda due segni che indichino la sposa: «La ragazza alla quale dirò: abbassa l’anfora e lasciami bere”, e che risponderà: “Bevi, anche ai tuoi cammelli darò da bere”, sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco…» (cfr. Gen 24,12-14). Ed ecco, al pozzo, arriva Rebecca. I due segni che il servo desiderava si realizzano. Un amore che libera dalla solitudine mortale Secondo la Genesi è l’uomo che lascerà la sua casa per andare con la sua donna (Gen 2,24), qui è Rebecca che lascia la sua famiglia per andare dallo sposo. Giunta nella regione del Neghev incontra Isacco che, alzando gli occhi, vede venire i cammelli. Rebecca pure alza gli occhi ma vede Isacco e scende subito dal suo |
cammello, coprendosi il volto (cfr. Gen 24,63-64). Il seguito è descritto in modo lapidario: «Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di sua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della madre» (Gen 24,67). Il prendere possesso della tenda che fu di Sara fa pensare che Rebecca ne prenda il posto. Di fatto, è la matriarca che – come indica il suo nome Rebecca che significa “corda”, “legame” – continua la promessa di una discendenza, legando tra loro le generazioni. Anche la sua storia avrà contatti con quella di Sara: la sterilità e il passare da sorella per salvare la vita di Isacco (cfr. Gen 26,6). Interessante la precisazione: “Isacco l’amò”. Quest’amore lo libera dalla solitudine e gli toglie la morte dal cuore, che la perdita di Sara gli aveva causato. Rebecca non è la moglie preferita ma l’unica! Isacco tra i tre patriarchi è l’unico ad avere una sola donna! Il testo biblico insinua che Rebecca è davvero “l’aiuto adatto e corrispondente” di cui Isacco aveva bisogno (cfr. Gen 2,18). Una fecondità in conflitto Dopo venti anni di attesa e di preghiera, Rebecca concepisce due gemelli, i quali già nel suo seno si urtano e maltrattano, presagio della conflittualità futura. Presa da grande timore, consulta l’oracolo che le annuncia di essere portatrice di una situazione problematica: nel suo seno si combattono due nazioni e il maggiore dei due fratelli servirà il minore (cfr. Gen 25,23). I due gemelli presentano caratteri diversi: il primo, Esaù, è rossiccio e ricoperto di pelo come di un manto. Abile nella caccia, sarà uomo della steppa. È forte ma ingenuo e superficiale. L’altro, Giacobbe, già nascendo gli teneva il calcagno (cfr. Gen 25,24-26), indizio dell’inganno che gli ordirà. Sarà un uomo tranquillo, che dimora sotto le tende. È abile e furbo (cfr. Gen 25,27). Isacco predilige Esaù per la cacciagione che gli procura; Rebecca Giacobbe per il carattere riflessivo e il comportamento affidabile. Un’obbedienza da compiere con urgenza Isacco, vecchio e semicieco, decide di benedire Esaù. La benedizione biblica non è un augurio ma un atto testamentario irrevocabile. Il padre nella benedizione trasmette al figlio la sua forza vitale, prosperità nella vita e nelle imprese. Rebecca, che origlia dietro la porta, capisce che è il momento di intervenire, per realizzare ciò che comprese – quando i gemelli erano ancora nel suo seno – che la benedizione non è legata alla primogenitura naturale. Fin d’allora percepisce che la scelta del minore rispondeva a un piano misterioso che doveva assecondare come una missione. E lei si ribella a quella legge tribale, disobbedendo. Ci sembra di vederla mentre ascolta ed escogita come uscire da quella situazione. Esaù si era poi mostrato superficiale e irresponsabile. Vendette la primogenitura al fratello per un piatto di minestra (cfr. Gen 25,29-34) e sposò le figlie degli Hittiti che causarono dolore a lei e a Isacco (cfr. Gen 26,34). Rebecca chiama, dunque, Giacobbe ordinandogli: «Ora, figlio mio, obbedisci al mio ordine: va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti, io ne farò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà, perché ti benedica prima della sua morte» (Gen 27,8-10). Pianifica tutti i particolari, disposta a far ricadere su di sé la maledizione che avrebbe colpito Giacobbe se la frode fosse stata scoperta: «Su di me la tua maledizione figlio mio» (Gen 27,13). L’inganno riesce e Giacobbe carpisce la benedizione (cfr. Gen 27,28-29). Così da Giacobbe, figlio di Rebecca, nascerà il popolo eletto da Dio. L’elezione scelta libera di Dio Perché l’inganno per mandare avanti il progetto di Dio? L’inganno rimane inganno e non si può giustificare. Dio non l’approva e corregge gli errori umani che come virus intaccano la storia! Giacobbe aveva diritto alla benedizione, ma non d’ingannare il padre, approfittando della sua cecità. La benedizione conseguita con l’inganno segnerà di sofferenza il suo futuro ma, grazie ad essa, diventerà adulto, padre nel corpo e nello spirito. Giacobbe l’ingannatore sarà ingannato da Lia e dallo zio e suocero Labano! (cfr. Gen 29,15-30). Al di la della descrizione dei fatti, che sono come un contenitore, il messaggio è chiaro: Dio, per attuare i suoi disegni, sceglie chi vuole. La sua libertà non è vincolata alle tradizioni e ai costumi umani. Nello scegliere chi vuole nessuno esclude dal suo amore. Esaù sarà capo di un popolo importante, gli Edomiti (cfr. Gen 36,43). Questa prospettiva è ripresa da San Paolo quando parla dell’elezione, che è una scelta libera di Dio che non deve rendere conto ad alcuno (cfr. Rom 9,10-13). Giacobbe rischia la vendetta del fratello e Rebecca che vigila gli procura un rifugio presso suo fratello Labano, coinvolgendo nella decisione Isacco che «chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan » (Gen 27,46-28,1). Rebecca preferisce separarsi da Giacobbe anche a costo di non rivederlo più – come avverrà – piuttosto che assistere all’odio mortale fratricida (27,41-46). Giacobbe va nella terra da dove erano partiti Abramo e Rebecca. Ritornerà adulto, padre di una numerosa discendenza alla quale trasmette non solo la vita naturale ma il frutto della correzione ricevuta da Dio, quando gli insegnò che non si vince con la furbizia e l’inganno ma perché si lotta con Dio che fa vincere, come il nome nuovo Israele, che riceverà, significa (cfr. Gen 32,28-32). Rebecca madre e maestra di vita Rebecca è donna generosa, a servizio della vita, autorevole, che s’interroga e interroga le situazioni. Questa profondità, che è disponibilità al disegno di Dio, le dà il coraggio di ribellarsi a ciò che impedisce alla storia di fare il giusto cammino. Lei vede ciò che Isacco non vede. Le sue scelte mostrano che le “vie di Dio non sono le nostre vie”. Una domanda: la cecità fisica di Isacco “vecchio e con gli occhi indeboliti” non può comprendersi anche come metafora d’incapacità a vedere oltre le apparenze? Giacobbe se non avesse avuto questa madre, forse, sarebbe rimasto un tranquillo pastore che avrebbe vissuto nella sua tenda, sempre allo stesso modo. Rebecca l’ha messo nella condizione di osare, di prendere in mano la sua vita, di compiere scelte responsabili che lo renderanno padre del popolo e portatore della benedizione di Dio. PER LA RIFLESSIONE PERSONALE: – Confronta la figura di Isacco timido e indeciso con quella di Rebecca, riflessiva e capace di rischio. Accosta questo confronto a Gen 2, 18 e al pensiero del Fondatore che considera la donna prima cooperatrice nella pastorale. Che cosa ti suggerisce circa la presenza femminile nella comunità ecclesiale? – Dove vedi la grandezza di Rebecca? Nella sua capacità di assumersi le conseguenze della sua azione, che cambiano il corso della storia, dopo essersi confrontata, aver riflettuto e sofferto? Nella autorevolezza verso il figlio che lo rende capace di vivere il progetto di Dio su di lui, rischiando di non vederlo mai più? Quali altri aspetti te la fanno sentire collaboratrice di storia sacra, vicina a te? – Il nostro Fondatore diceva: «Chi fa può sbagliare ma chi non fa sbaglia due volte». Vedi qualche relazione con l’azione di Rebecca? E con la frase di Papa Francesco: «Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e le comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze » (EG 49)? Suor Filippa Castronovo, fsp |