Home | Chi siamo | Cosa facciamo | Perché siamo nate | Spiritualità | La nostra storia | Libreria | Fondatore | Famiglia Paolina | Preghiere | Archivio | Links | Scrivici | Area Riservata | Webmail | Mappa del sito

 

LA PREGHIERA NECESSARIA

 

In questa meditazione tratta dall’Ut perfectus sit homo Dei, pp. 222-230, don Alberione sottolinea con forza l’importanza della preghiera per coloro che scelgono di seguire il Signore in una vita di consacrazione. La preghiera è necessaria per il religioso e vitale e formativa per il paolino e, soprattutto, è la porta che ci introduce ad una vera intimità con l’Amico del cuore.
Pietà e vita consacrata paolina
La parola pietà ha senso ampio; qui però intendo trattarla nel suo significato di intelligenza, amore, pratica dell’orazione.
a) Essa è il primo costitutivo della vita religiosa. Il Religioso è così chiamato perché fa più abbondanti e più perfetti atti di religione. La preghiera è appunto l’atto di culto interno ed esterno che prestiamo al Signore: l’adorazione, la lode, la riparazione, la supplica, l’offerta di noi al Signore. Non merita il nome di Religioso, e non lo è di fatto, chi non mette in primissimo posto la preghiera.
b) Fondamento della vita religiosa. Religioso è colui che vuole raggiungere la

perfezione ed ha scelto lo stato di perfezione. Povertà, castità, obbedienza, vita comune richiedono più abbondanti forze; ma l’abbondanza di grazie dipende dall’abbondanza di preghiera. Perciò San Paolo, dopo aver ricordato al suo discepolo, che stabilì Vescovo di Efeso, i gravi doveri del suo ufficio, gli raccomanda: “Exerce teipsum ad pietatem... pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitæ, quæ nunc est, et futuræ”[Esèrcitati nella pietà... La pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura] (1Tm 4,7s). Se una casa manca di fondamenta, presto rovina: così avviene del Religioso. Lasciare la preghiera per fare più opere è un rovinoso ripiego. Il lavoro fatto a scapito della preghiera non giova a noi, né ad altri; perché toglie quello che si deve a Dio. […]
Succedono perdite di vocazioni e dolorose rovine; e si adducono pretesti, spiegazioni, ragioni... Ma in fondo è una sola la causa: trascuranza e abbandono della pietà. Lo si confessi con sincerità.
c) L’ora di adorazione quotidiana nella Famiglia Paolina, particolarmente per il suo proprio apostolato, è necessaria. Si avrebbe una tremenda responsabilità se non fosse stata prescritta: il religioso paolino non avrebbe il sufficiente alimento per la sua vita spirituale e per il suo apostolato. Ma chi la omette assume su se stesso tale responsabilità; e la assumerebbero i Superiori che non la facessero praticare. La nostra pietà è in primo luogo eucaristica. Tutto nasce come da fonte vitale dal Maestro Eucaristico.
Così è nata dal Tabernacolo la Famiglia Paolina, così si alimenta, così vive, così opera, così si santifica. Dalla Messa, dalla Comunione, dalla Visita Eucaristica, tutto: santità ed apostolato.

Pietà e formazione integrale

“La prima cosa che si attua nella pietà è il processo di formazione personale. Ognuno va a Cristo col grande problema di se stesso: un problema sempre urgente, imprescindibile: prendere la giusta “via”, inquadrarsi esattamente nella “verità”, per un sicuro e pieno sviluppo della “vita”. Ognuno va al Maestro disponendo di un potenziale notevole, che chiede solo di essere messo in atto con grande pienezza: mente, volontà e cuore dei singoli devono essere messi in atto affinché tutto l’uomo, nel contatto formativo col Maestro, ottenga quel processo evolutivo quadrato e completo che è nella profonda aspirazione di ogni vita.
È a questo intento di completezza che si ispira ogni atto della pietà paolina. Prescindendo da un elenco di atti, vari nella forma e nella durata, distribuiti lungo la giornata, la settimana, il mese o l’anno, e che si attengono ovviamente alle forme tradizionali in uso nella Chiesa universale, dobbiamo semplicemente rilevare questo dato costantemente inteso e sottolineato nelle pratiche di pietà: l’impegno di tutte le potenze dell’anima per uno sviluppo totalitario della persona.
Nella Messa e nella Visita al Santissimo, che sono al centro di tutta la nostra vita spiriuale, il metodo “via-verità-vita”, cui corrisponde bene l’impegno della mente, della volontà e del cuore, viene sempre più chiarificandosi e approfondendosi da tutti. […]
La pietà è anzitutto un profondo atto di fede, che parte da una viva partecipazione della mente  umana: “actus rationis” [Atto della ragione] dice S. Tommaso di una preghiera fatta nel modo dovuto. La mente dell’uomo preluce ad ogni suo atto, e una quotidiana impostazione della mente sulle grandi verità rivelate è di una importanza assoluta nello sviluppo sicuro della persona.
Rimarrebbe però sterile l’apprendimento o la visione del vero, quando non gli facesse seguito l’atto del volere, determinante del nostro movimento verso il meglio. Come la “mente” si pone in rapporto col magistero di Cristo-Verità, così la volontà si deve impegnare al movimento con Cristo-Via. S. Tommaso avverte pure che una buona preghiera risulta come una “explicatio propriæ voluntatis” [Dichiarazione della propria volontà]. La volontà si porrà in esercizio sotto l’impulso della grazia e sotto l’attrattiva del magistero di Cristo, via di ogni perfezione umana.
Infine vi deve essere quella profonda adesione vitale che trascina tutto l’uomo al rapporto con Dio: “Cor meum et caro mea exsultaverunt in Deum vivum” [Il mio cuore e la mia carne esultano nel Dio vivente] (Sl 84[83],3): si deve determinare cioè quell’indispensabile calore vitale che giustamente si definisce nel termine “cuore”, e che appunto produce il movimento profondo della vita: giacché una pietà che impegni tutto l’uomo, lo realizza, dando forma ad un sicuro processo educativo: “importat exitum de potentia in actum” [Apporta il passaggio dalla potenza all’atto].

l “dono” della pietà

Abbandonando la preghiera tutto l’edificio spirituale cade e rimane un cumulo di rovine, un bel castello, ma diroccato.
Facciamo un passo avanti: donum gratiæ et precum [Dono delle grazia e delle preghiere]. La pietà considerata come dono dello Spirito Santo. […] Questo dono ci mostra in Dio non soltanto il supremo Padrone e Giudice, ma un ottimo ed amantissimo Padre: “Accepistis spiritum adoptionis filiorum, in quo clamamus: Abba, Pater” [Avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre”] (Rm 8,15). Ci allarga il cuore alla confidenza e all’amore, senza escludere il timore; ed il timore stesso diviene filiale. “Ut filii Dei nominemur et sumus” [Cosicché siamo chiamati figli di Dio: e lo siamo realmente] (1Gv 3,1).
Anche amico. “Dio si dà pure a noi come amico. […] Dio infatti ci apre i suoi segreti; ci parla non solo per mezzo della Chiesa, ma anche interiormente per mezzo del suo Spirito: “Ille vos docebit omnia et suggeret vobis omnia quæcumque dixero vobis” [Egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto] (Gv 14,26). Quindi è nell’ultima cena che Gesù dichiara agli Apostoli che ormai non saranno più servi ma amici, perché egli non avrà più segreti per loro: “Iam non dicam vos servos, quia servus nescit quid faciat dominus eius; vos autem dixi amicos, quia omnia quæcumque audivi a Patre meo, nota feci vobis” [Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre ve l’ho fatto conoscere] (Gv 15,15). Sarà quindi una dolce fa miliarità quella che governerà ormai le loro relazioni, la familiarità che corre tra amici che siedono alla stessa mensa: Ecco che io sto alla porta e picchio; se alcuno udirà la mia voce e mi aprirà la porta, io entrerò da lui, cenerò con lui ed egli con me: “Ecce sto ad ostium et pulso; si quis audierit vocem meam et aperuerit mihi januam, intrabo ad illum et cœnabo cum illo, et ipse mecum” (Ap 3,20). Mirabile intimità a cui noi non avremmo mai osato aspirare se l’Amico divino non si fosse fatto avanti lui per il primo. Eppure una tale intimità si è avverata e si avvera ogni giorno, non soltanto presso i santi, ma anche in quelle anime interiori che acconsentono ad aprire le porte dell’anima all’ospite divino.

Un cuore nuovo

L’amore a Gesù Maestro, al Crocifisso, all’Ostia Santa, diviene più sensibile; l’amore allo Spirito Santo va sino a sentirlo operante nell’anima; l’amore alla Madre nostra si ispira al “o clemens, o pia, o dulcis Virgo Maria” [O clemente, o pia, o dolce vergine Maria]; l’amore a S. Paolo diviene tenero e forte assieme; l’amore all’Angelo Custode ce lo fa considerare fratello e compagno nel viaggio; l’amore a S. Giuseppe conforta ogni passo della vita; l’amore alle Anime Purganti è tutto fatto di compassione e premurosa carità. Per il dono della pietà: la Sacra Scrittura sarà la più amata lettura, la lettera del Signore per invitarci al cielo, la comunicazione dei segreti di Dio, delle più amabili verità, dei disegni di Dio su di noi. La santa Chiesa è la Sposa di Gesù Cristo, uscita dal suo santo Costato; che ne perpetua la missione sulla terra come suo Corpo Mistico; […] collaboriamo alle sue iniziative; assecondiamo i desideri del Papa, in amore filiale, in docilità lieta, come a Gesù Cristo che in essa vive, come il Pastore supremo delle pecorelle e degli agnelli.
Per il dono della pietà siamo affezionati ai Superiori che ci rappresentano Dio; ai fratelli che sono immagini di Dio; agl’infelici, alle vocazioni; alle anime a noi affidate; con i sentimenti del Cuore di Gesù. Amiamo tutto il culto, le Messe, le belle funzioni, la chiesa, le immagini sacre. […]
Dono necessario se si vuole arrivare a compiere lietamente e prontamente i doveri verso Dio, l’obbedienza ai Superiori, la condiscendenza agli inferiori. Chi non lo possiede tratta con Dio come con un padrone e giudice; la preghiera riuscirebbe pesante; le prove sembrerebbero piuttosto castighi; il prossimo verrebbe considerato sotto aspetti umani soltanto. Con la pietà tutto è veduto e sentito in una luce nuova. […]

Pietà fonte di gioia

La pietà dà la letizia al Religioso. Chi vuol assaporare i beni dell’anima consacrata al Signore deve sentire un intimo spirito di pietà; non vi è di meglio.
La pace dell’anima, il gaudio della buona coscienza, il bene di essere uniti a Dio, di sentire e progredire nel suo amore, di stringere sempre più una sentita unione col Signore. Ecco alcune delle ricompense che Dio largisce anche in questa vita ai servi suoi fedeli, specialmente ai migliori, con la gioconda speranza della eterna beatitudine. Pur in mezzo alle prove della vita; anzi talvolta le stesse prove accrescono la fiducia che il Signore conduce l’anima verso la santità e la gioia; essendo sacrifici che associano maggiormente al Crocifisso. “Superabundo gaudio in omni tribulatione”, [Sono pervaso di gioia in ogni tribolazione” (2Cor 7,4)] dice S. Paolo. Quando tutto il cuore e la sentimentalità sono stabilite in Dio e nelle cose di Dio, il religioso sente tale soddisfazione della sua vita che ogni cosa né lo attira, né l’assapora; anzi gli viene a nausea il mondo, il piacere, la stima del mondo. Ecco Paolo: “omnia arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam” [Tutto considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo] (Fil 3,8).

Beato Giacomo Alberione

 

su