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«STO ALLA PORTA E BUSSO...
VIENI, SIGNORE GESÙ»
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Carissime sorelle, ATTESA E VENUTA Sto alla porta e busso... Vieni, Signore Gesù (cfr. Ap 3, 20; 22, 20). Le due invocazioni esprimono l’anelito dell’uomo verso un evento risolutivo, che venga a sanare, a riscattare il suo vivere in un tempo intriso da difficoltà, da sofferenza, da solitudine. È l’anelito verso il venire del tempo di Dio nel tempo dell’uomo. Ma questo tempo viene? Sta venendo ? e come viene l’attesa? L’affermazione dell’Apocalisse è di una incomparabile densità, in cui i richiami dell’Antico testamento si uniscono a reminiscenze di parole dette da Gesù per indicare la certezza del venire di Gesù, il suo carattere misterioso, la trepidazione dell’attesa, la gioia dell’incontro imminente, la felicità alla quale esso darà luogo per sempre. L’insieme di tali sentimenti caratterizza l’atteggiamento su cui il nuovo testamento ritorna: la vigilanza. È il modo di porsi da parte nostra, non vivendo ripiegati su noi stessi e neppure soltanto sul presente, bensì sul Signore e su ciò che egli prepara per il futuro dell’umanità. PERCHE' VIGILARE |
«vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo» (Lc 21, 36). L’ammonizione a «vegliare», a «stare attenti », ad «aver cura», ripresa da Marco e da Matteo nei loro vangeli, è anche tenuta presente dagli apostoli e dai discepoli in tante occasioni: «Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge... Vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire tra le lacrime ciascuno di voi» (At 20, 28-31). La vigilanza raccomandata riguarda tutto l’uomo, spirito, anima e corpo, e investe tutte le sfere relazionali della persona, la relazione con se stesso, con le cose, con gli altri, con Dio. i Padri del deserto fanno eco alle esortazioni neotestamentarie: «non abbiamo bisogno di nient’altro che di uno spirito vigilante», e s. Basilio si domanda: «Che cosa è proprio del cristiano? vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio, sapendo che all’ora che non pensa il Signore viene». Ancora: «non basterebbe il giorno intero se cominciassi a esporre tutta la portata del comando: «Sta attento a te stesso, sii vigilante». il vigilare non è dunque un atteggiamento marginale della vita cristiana, ma ne riassume la caratteristica verso il futuro di Dio congiungendola con l’attenzione e la cura per il momento presente. il vigilare diviene particolarmente attuale in tempi di crisi o di smarrimento, come i nostri, quando cioè la mancanza di prospettive storiche unita ad una certa abbondanza di beni materiali rischia di addormentare la coscienza nel godimento egoistico di quanto si possiede, dimenticando la gravità dell’ora e il bisogno di scelte coraggiose e austere. La nostra incapacità a riconoscere i segni del Signore che viene si riassume nella frase Non ho tempo, intendendo l’affermazione come segno di una nevrosi tipica di una società che ignora il vero valore e senso del tempo e si lascia attrarre nel vortice della fretta e dell’angoscia. il secondo momento sarà quello di esprimere l’annuncio contrario: Dio ha tempo per l ’uomo. egli ci fa dono del suo tempo, cioè del suo modo di essere, della sua vita, che riempie il nostro tempo di gioia e di attesa e sta alla porta proprio per farci un tale dono. il tempo natalizio è proprio contrassegnato da questa «bella notizia » del Dio con noi, l’emmanuele. un terzo momento sarà quello di uno che ha accolto l’annuncio del tempo di Dio che cambia i tempi dell’uomo. È la spiritualità della vigilanza che diventa speranza cristiana perché trasfigura il presente e lo riscatta dall’ansia e dalla frustrazione per aprirlo ad una prospettiva di eternità. NON HO TEMPO La parola «non ho tempo» è caratteristica dell’uomo d’oggi. non è la mancanza di tempo in quanto tale che ci assedia e ci inquieta, e neppure la molteplicità degli impegni che sembrano gravare su di noi o la complessità dei problemi da risolvere. È piuttosto la percezione del fatto che il senso della nostra esistenza dipende strettamente dal tempo. È dunque il tempo stesso, nel suo inesorabile trascorrere (Fugit irreparabile tempus, dicevano gli antichi), nel suo muto linguaggio di finitezza, nel suo implacabile andare verso la fine che genera angoscia e bisogno di fuga. il tempo che passa risuona in noi come una continua rivelazione della nostra condizione di esseri limitati e avviati impietosamente, verso la morte. Due sono le vie attraverso le quali cerchiamo di sfuggire al problema della fine irreparabile del tempo: esorcizzare l’immagine della morte e ostentare il nostro dominio sul tempo. La prima consiste nell’inseguire senza tregua il tempo, sfidandolo con l’ostentazione dell’avere e del fare. Sono tanti i modi di riempire il tempo per illudersi di possederlo. Accenno soltanto a quelli che costituiscono oggi i punti di riferimento da parte di tante persone: il denaro, l’ambizione del dominio, la ricerca spasmodica del godimento. una seconda via è quella di anestetizzare il tempo con il culto della spensieratezza e della trasgressione. oggi tutto ciò assume forme diverse di frustrazione, come la droga, il suicidio, l’alcool, una vita “spenta”, ecc. L’impulso a fuggire il tempo che passa è quindi forte e irresistibile. C’è però un altro modo di affrontare il problema. tra l’illusione di possedere il tempo e la disperazione per il suo venirci meno sta un atteggiamento completamente diverso, evocato con il termine vigilare. Vigilare significa anzitutto vegliare, stare desti, rimanere all’erta, significa badare con amore a qualcuno, custodire con ogni cura qualche cosa di molto prezioso, farsi presidio di valori importanti che sono delicati e fragili. Vigilare in sintesi è la capacità di ritornare a prendersi il tempo necessario per avere cura della qualità non puramente commerciale della vita. STO ALLA PORTA: DIO HA TEMPO PER L'UOMO Con l’incarnazione il Figlio di Dio, mandato dal Padre, fa suo il tempo degli uomini, fino a desiderare la loro compagnia. Gesù viene così a conoscere la nostra situazione, la nostra angoscia: «e cominciò a provare tristezza e angoscia » (Mt 26, 37). La missione del Figlio e quella dello Spirito rivelano la profondità del rapporto tra il Dio vivo e il tempo degli uomini. il tempo viene dalla trinità, creato con la creazione del mondo; si svolge nel seno della trinità, perché tutto ciò che esiste, esiste in Dio, nel quale viviamo, ci muoviamo e siamo; è destinato alla gloria della trinità, quando tutto sarà ricapitolato nel Figlio e consegnato al Padre, perché sia tutto in tutti (cfr 1Cor 15,28). Perché il tempo sia vissuto così, sia cioè santificato, è necessario che alla vigilanza e alla custodia di Dio sul tempo corrisponda la vigile accettazione dell’uomo: se Dio ha tempo per l’uomo e custodisce il senso della sua vita e della sua storia, l’uomo deve aver tempo per Dio e riconoscerlo, nella vigilanza della fede, della speranza e dell’amore, come il Signore della sua vita e della sua storia. All’inizio del nuovo anno facciamo questa professione di fede nel Dio, Maestro e Pastore della nostra vita. LA SPERANZA Le dodici ore del giorno (cfr Gv 11, 9) sono vissute pienamente nella luce quando sono vissute nella speranza. La speranza non è soltanto l’attesa di un bene futuro arduo, ma possibile a conseguirsi; è l’anticipazione delle cose future promesse e donate dal Signore che ha avuto tempo per l’uomo, il terreno d’avvento dove il domani di Dio viene a prendere corpo nel presente degli uomini. È la sorella più piccola, come dice Peguy, che tiene per mano e guida verso la mèta le due maggiori, la fede e la carità; grazie alla speranza, il tempo quantificato diviene tempo qualificato, ora della grazia, tempo favorevole, oggi della salvezza, momento gustato nella pace. La speranza è la condizione filiale vissuta riguardo all’avvenire: perché «noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3, 2). La vigilanza è l’atteggiamento di chi tiene salda la speranza, non permettendo che sia insidiata la sua condizione di figlio, mantenendo la tensione del desiderio di vedere il volto del Padre e difendendola dall’afflosciarsi nel presente, dal lasciarsi imprigionare dalle banalità quotidiane.Il già, accolto dalla fede e vissuto nell’amore, si proietta verso il non ancora della promessa grazie alla speranza; speranza è perciò l’altra faccia della vigilanza, l’andare incontro consapevole, libero e desideroso a Colui che - venuto una volta - sempre nuovamente ci viene incontro fino a che non si compiano i tempi ed egli venga nella gloria.
Buon Anno! Don Antonio |